martedì 22 dicembre 2009

A Christmas Story


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"Quando l'uomo smette di sognare, si ammala!"


Leggere le fiabe ai bambini…
La lettura è un atto del sentimento, un gesto di creazione, una zona ove esercitare la propria libertà:e la base dell’educazione civile
Grazie ai maghi, alle fate e alle principesse, si può imparare a riaccendere la fantasia e la creatività.
A riaprire il nostro cuore.

La verità è che, da GRANDI, non riusciamo piu ad esprimere le nostre gioie, le nostre paure.

Le fiabe, che arrivano direttamente alla coscienza attraverso dei simboli, ci aiutano anche ad affrontare i nostri problemi.
Infatti le fiabe della tradizione trasmettono un insegnamento millenario presente in tutte le culture: un metodo semplice ed efficace per trasformare l'atteggiamento nei confronti della vita e favorirci, quando qualcosa ci sembra impossibile. Le fiabe sono un potente mezzo sia per affrontare situazioni che sembrano non avere sbocchi, sia come strumento per riscoprire la propria creatività, fantasia ed i propri talenti. Sorprendenti, come le stesse fiabe, sono i risultati nelle terapia individuali.
BUON LETTURA!

domenica 20 dicembre 2009

FAITH, IL CANE A DUE ZAMPE



BUONA FESTA A TUTTI!
e buon lettura

siamo agli sgoccioli... sono le 22.00 di 31 dic 2009
... il vecchio anno piano piano se ne va...
riponiamo nel cassetto i nostri sogni
che già appartengono al passato ...
ed anche se una parte non si e avverato,
rimane dentro il cuore quella forza in più
che ci spinge a correre verso l'anno che arrriva!
Vorrei chiudere questo anno con questa commovente storia ...

LA MERAVIGLIOSA STORIA DI FAITH, IL CANE A DUE ZAMPE


Questa è la storia incredibile di una cane straordinario nato prima del Natale del 2002, dotato di una fortissima tenacia e determinazione.

Faith è nato con solo due gambe, la madre non lo riconobbe come suo, in quanto troppo diverso probabilmente. Il suo primo padrone, pensando di fare un gesto pietoso, in quanto sicuro che il povero cucciolo non sarebbe mai potuto sopravvivere, pensò di addormentarlo, ma alcuni ragazzi che vennero a conoscenza del caso, ne parlarono con la loro madre, Jude Stringfellow, che decise di adottarlo.

Immediatamente Judy cominciò a percorrere la strada per raggiungere il suo grande obiettivo: mettere in condizione Faith di camminare da solo insegnandogli alcuni esercizi. Inizialmente mise il cucciolo su uno skateboard, in modo da fargli apprendere la sensazione e i princìpi del movimento. Successivamente gli insegnò, usando l’esca del burro di noccioline su un cucchiaio a farlo stare in piedi su due gambe. Nel fare progressi Faith iniziò a divertirsi, incoraggiato e sostenuto anche dagli altri cani di casa di Jude. Incredibilmente, dopo soli 6 mesi, la bestiola fu in grado di camminare, saltare e correre con le sole due zampe posteriori, stando in posizione eretta, esattamente uguale ad un essere umano quindi, questo anche grazie ad un ulteriore allenamento svolto nella neve.

Ora Faith è un cane famoso, apparso su giornali e tv; vi è anche un libro, ‘With a Little Faith’ (letteralmente “Con un po’ di Fede”), ed era stata anche valutata l’ipotesi di inserirlo in uno dei film di Harry Potter. Al “cane antropomorfo” piace andare in giro, dovunque… ed è appunto dovunque che attrae fans, curiosi e soprattutto bambini. Ora Jude non gli insegna più niente ma viaggia per il mondo cercando di diffondere un grande messaggio:
“anche se non hai un corpo perfetto, puoi avere un’anima perfetta”.


ed ora un appello a tutti voi che amate gli animali


"Questo spazio intende diffondere attraverso le poesie, le storie, i racconti e le curiosità,
il profondo legame che unisce gli uomini agli animali...
Se vuoi diffondere questo amore, puoi inviarmi una storia,

un racconto, una poesia o una riflessione
al mio indirizzo e-mail: antonellariviello@email.it"

ANTONELLA e un cara amica, le voglio un mondo di bene...
VISITATE IL SUO BLOG, troverete tantissimi belle favole e storie...
grazie di cuore, lisa

... Vi auguro di accogliere il 2010 con quanto di bello la vita vi ha donato e
di ricevere tutto il meglio che si possa desiderare.
Sia per tutti voi un anno ricco di sorprese, di gioia, di pace e serenità...
Vi auguro una strada lunghissima da percorrere e la realizzazione dei progetti che più vi stanno a cuore! Felice anno nuovo e tantissimi auguri!

IL DONO DI NATALE

IL DONO DI NATALE
di Grazia Deledda

I cinque fratelli Lobina, tutti pastori, tornavano dai loro ovili, per passare la notte di Natale in famiglia. Era una festa eccezionale, per loro, quell'anno, perché si fidanzava la loro unica sorella, con un giovane molto ricco. Come si usa dunque in Sardegna, il fidanzato doveva mandare un regalo alla sua promessa sposa, e poi andare anche lui a passare la festa con la famiglia di lei. E i cinque fratelli volevano far corona alla sorella, anche per dimostrare al futuro cognato che se non erano ricchi come lui, in cambio erano forti, sani, uniti fra di loro come un gruppo di guerrieri. Avevano mandato avanti il fratello più piccolo, Felle, un bel ragazzo di undici anni, dai grandi occhi dolci, vestito di pelli lanose come un piccolo San Giovanni Battista; portava sulle spalle una bisaccia, e dentro la bisaccia un maialetto appena ucciso che doveva servire per la cena. Il piccolo paese era coperto di neve; le casette nere, addossate al monte, parevano disegnate su di un cartone bianco, e la chiesa, sopra un terrapieno sostenuto da macigni, circondata d'alberi carichi di neve e di ghiacciuoli, appariva come uno di quegli edifizi fantastici che disegnano le nuvole. Tutto era silenzio: gli abitanti sembravano sepolti sotto la neve. Nella strada che conduceva a casa sua, Felle trovò solo, sulla neve, le impronte di un piede di donna, e si divertì a camminarci sopra. Le impronte cessavano appunto davanti al rozzo cancello di legno del cortile che la sua famiglia possedeva in comune con un'altra famiglia pure di pastori ancora più poveri di loro. Le due casupole, una per parte del cortile, si rassomigliavano come due sorelle; dai comignoli usciva il fumo, dalle porticine trasparivano fili di luce. Felle fischiò, per annunziare il suo arrivo: e subito, alla porta del vicino si affacciò una ragazzina col viso rosso dal freddo e gli occhi scintillanti di gioia. - Ben tornato, Felle. - Oh, Lia! - egli gridò per ricambiarle il saluto, e si avvicinò alla porticina dalla quale, adesso, con la luce usciva anche il fumo di un grande fuoco acceso nel focolare in mezzo alla cucina. Intorno al focolare stavano sedute le sorelline di Lia, per tenerle buone la maggiore di esse, cioè quella che veniva dopo l'amica di Felle, distribuiva loro qualche chicco di uva passa e cantava una canzoncina d'occasione, cioè una ninnananna per Gesù Bambino. - Che ci hai, qui? - domandò Lia, toccando la bisaccia di Felle. - Ah, il porchetto. Anche la serva del fidanzato di tua sorella ha già portato il regalo. Farete grande festa voi, - aggiunse con una certa invidia; ma poi si riprese e annunziò con gioia maliziosa: - e anche noi! Invano Felle le domandò che festa era: Lia gli chiuse la porta in faccia, ed egli attraversò il cortile per entrare in casa sua. In casa sua si sentiva davvero odore di festa: odore di torta di miele cotta al forno, e di dolci confezionati con buccie di arance e mandorle tostate. Tanto che Felle cominciò a digrignare i denti, sembrandogli di sgretolare già tutte quelle cose buone ma ancora nascoste. La sorella, alta e sottile, era già vestita a festa; col corsetto di broccato verde e la gonna nera e rossa: intorno al viso pallido aveva un fazzoletto di seta a fiori; ed anche le sue scarpette erano ricamate e col fiocco: pareva insomma una giovane fata, mentre la mamma, tutta vestita di nero per la sua recente vedovanza, pallida anche lei ma scura in viso e con un'aria di superbia, avrebbe potuto ricordare la figura di una strega, senza la grande dolcezza degli occhi che rassomigliavano a quelli di Felle. Egli intanto traeva dalla bisaccia il porchetto, tutto rosso perché gli avevano tinto la cotenna col suo stesso sangue: e dopo averlo consegnato alla madre volle vedere quello mandato in dono dal fidanzato. Sì, era più grosso quello del fidanzato: quasi un maiale; ma questo portato da lui, più tenero e senza grasso, doveva essere più saporito. - Ma che festa possono fare i nostri vicini, se essi non hanno che un po' di uva passa, mentre noi abbiamo questi due animaloni in casa? E la torta, e i dolci? - pensò Felle con disprezzo, ancora indispettito perché Lia, dopo averlo quasi chiamato, gli aveva chiuso la porta in faccia. Poi arrivarono gli altri fratelli, portando nella cucina, prima tutta in ordine e pulita, le impronte dei loro scarponi pieni di neve, e il loro odore di selvatico. Erano tutti forti, belli, con gli occhi neri, la barba nera, il corpetto stretto come una corazza e, sopra, la mastrucca [1]. Quando entrò il fidanzato si alzarono tutti in piedi, accanto alla sorella, come per far davvero una specie di corpo di guardia intorno all'esile e delicata figura di lei; e non tanto per riguardo al giovine, che era quasi ancora un ragazzo, buono e timido, quanto per l'uomo che lo accompagnava. Quest'uomo era il nonno del fidanzato. Vecchio di oltre ottanta anni, ma ancora dritto e robusto, vestito di panno e di velluto come un gentiluomo medioevale, con le uose di lana sulle gambe forti, questo nonno, che in gioventù aveva combattuto per l'indipendenza d'Italia, fece ai cinque fratelli il saluto militare e parve poi passarli in rivista. E rimasero tutti scambievolmente contenti. Al vecchio fu assegnato il posto migliore, accanto al fuoco; e allora sul suo petto, fra i bottoni scintillanti del suo giubbone, si vide anche risplendere come un piccolo astro la sua antica medaglia al valore militare. La fidanzata gli versò da bere, poi versò da bere al fidanzato e questi, nel prendere il bicchiere, le mise in mano, di nascosto, una moneta d'oro. Ella lo ringraziò con gli occhi, poi, di nascosto pure lei, andò a far vedere la moneta alla madre ed a tutti i fratelli, in ordine di età, mentre portava loro il bicchiere colmo. L'ultimo fu Felle: e Felle tentò di prenderle la moneta, per scherzo e curiosità, s'intende: ma ella chiuse il pugno minacciosa: avrebbe meglio ceduto un occhio. Il vecchio sollevò il bicchiere, augurando salute e gioia a tutti; e tutti risposero in coro. Poi si misero a discutere in un modo originale: vale a dire cantando. Il vecchio era un bravo poeta estemporaneo, improvvisava cioè canzoni; ed anche il fratello maggiore della fidanzata sapeva fare altrettanto. Fra loro due quindi intonarono una gara di ottave, su allegri argomenti d'occasione; e gli altri ascoltavano, facevano coro e applaudivano. Fuori le campane suonarono, annunziando la messa. Era tempo di cominciare a preparare la cena. La madre, aiutata da Felle, staccò le cosce ai due porchetti e le infilò in tre lunghi spiedi dei quali teneva il manico fermo a terra. - La quarta la porterai in regalo ai nostri vicini - disse a Felle: - anch'essi hanno diritto di godersi la festa. Tutto contento, Felle prese per la zampa la coscia bella e grassa e uscì nel cortile. La notte era gelida ma calma, e d'un tratto pareva che il paese tutto si fosse destato, in quel chiarore fantastico di neve, perché, oltre al suono delle campane, si sentivano canti e grida. Nella casetta del vicino, invece, adesso, tutti tacevano: anche le bambine ancora accovacciate intorno al focolare pareva si fossero addormentate aspettando però ancora, in sogno, un dono meraviglioso. All'entrata di Felle si scossero, guardarono la coscia del porchetto che egli scuoteva di qua e di là come un incensiere, ma non parlarono: no, non era quello il regalo che aspettavano. Intanto Lia era scesa di corsa dalla cameretta di sopra: prese senza fare complimenti il dono, e alle domande di Felle rispose con impazienza: - La mamma si sente male: ed il babbo è andato a comprare una bella cosa. Vattene. Egli rientrò pensieroso a casa sua. Là non c'erano misteri né dolori: tutto era vita, movimento e gioia. Mai un Natale era stato così bello, neppure quando viveva ancora il padre: Felle però si sentiva in fondo un po' triste, pensando alla festa strana della casa dei vicini. Al terzo tocco della messa, il nonno del fidanzato batté il suo bastone sulla pietra del focolare. - Oh, ragazzi, su, in fila. E tutti si alzarono per andare alla messa. In casa rimase solo la madre, per badare agli spiedi che girava lentamente accanto al fuoco per far bene arrostire la carne del porchetto. I figli, dunque, i fidanzati e il nonno, che pareva guidasse la compagnia, andavano in chiesa. La neve attutiva i loro passi: figure imbacuccate sbucavano da tutte le parti, con lanterne in mano, destando intorno ombre e chiarori fantastici. Si scambiavano saluti, si batteva alle porte chiuse, per chiamare tutti alla messa. Felle camminava come in sogno; e non aveva freddo; anzi gli alberi bianchi, intorno alla chiesa, gli sembravano mandorli fioriti. Si sentiva insomma, sotto le sue vesti lanose, caldo e felice come un agnellino al sole di maggio: i suoi capelli, freschi di quell'aria di neve, gli sembravano fatti di erba. Pensava alle cose buone che avrebbe mangiato al ritorno dalla messa, nella sua casa riscaldata, e ricordando che Gesù invece doveva nascere in una fredda stalla, nudo e digiuno, gli veniva voglia di piangere, di coprirlo con le sue vesti, di portarselo a casa sua. Dentro la chiesa continuava l'illusione della primavera: l'altare era tutto adorno di rami di corbezzolo coi frutti rossi, di mirto e di alloro: i ceri brillavano tra le fronde e l'ombra di queste si disegnavano sulle pareti come sui muri di un giardino. In una cappella sorgeva il presepio, con una montagna fatta di sughero e rivestita di musco: i Re Magi scendevano cauti da un sentiero erto, e una cometa d'oro illuminava loro la via. Tutto era bello, tutto era luce e gioia. I Re potenti scendevano dai loro troni per portare in dono il loro amore e le loro ricchezze al figlio dei poveri, a Gesù nato in una stalla; gli astri li guidavano; il sangue di Cristo, morto poi per la felicità degli uomini, pioveva sui cespugli e faceva sbocciare le rose; pioveva sugli alberi per far maturare i frutti. Così la madre aveva insegnato a Felle e così era. - Gloria, gloria - cantavano i preti sull'altare: e il popolo rispondeva: - Gloria a Dio nel più alto dei cieli. E pace in terra agli uomini di buona volontà. Felle cantava anche lui, e sentiva che questa gioia che gli riempiva il cuore era il più bel dono che Gesù gli mandava. All'uscita di chiesa sentì un po' freddo, perché era stato sempre inginocchiato sul pavimento nudo: ma la sua gioia non diminuiva; anzi aumentava. Nel sentire l'odore d'arrosto che usciva dalle case, apriva le narici come un cagnolino affamato; e si mise a correre per arrivare in tempo per aiutare la mamma ad apparecchiare per la cena. Ma già tutto era pronto. La madre aveva steso una tovaglia di lino, per terra, su una stuoia di giunco, e altre stuoie attorno. E, secondo l'uso antico, aveva messo fuori, sotto la tettoia del cortile, un piatto di carne e un vaso di vino cotto dove galleggiavano fette di buccia d'arancio, perché l'anima del marito, se mai tornava in questo mondo, avesse da sfamarsi. Felle andò a vedere: collocò il piatto ed il vaso più in alto, sopra un'asse della tettoia, perché i cani randagi non li toccassero; poi guardò ancora verso la casa dei vicini. Si vedeva sempre luce alla finestra, ma tutto era silenzio; il padre non doveva essere ancora tornato col suo regalo misterioso. Felle rientrò in casa, e prese parte attiva alla cena. In mezzo alla mensa sorgeva una piccola torre di focacce tonde e lucide che parevano d'avorio: ciascuno dei commensali ogni tanto si sporgeva in avanti e ne tirava una a sé: anche l'arrosto, tagliato a grosse fette, stava in certi larghi vassoi di legno e di creta: e ognuno si serviva da sé, a sua volontà. Felle, seduto accanto alla madre, aveva tirato davanti a sé tutto un vassoio per conto suo, e mangiava senza badare più a nulla: attraverso lo scricchiolìo della cotenna abbrustolita del porchetto, i discorsi dei grandi gli parevano lontani, e non lo interessavano più. Quando poi venne in tavola la torta gialla e calda come il sole, e intorno apparvero i dolci in forma di cuori, di uccelli, di frutta e di fiori, egli si sentì svenire: chiuse gli occhi e si piegò sulla spalla della madre. Ella credette che egli piangesse: invece rideva per il piacere. Ma quando fu sazio e sentì bisogno di muoversi, ripensò ai suoi vicini di casa: che mai accadeva da loro? E il padre era tornato col dono? Una curiosità invincibile lo spinse ad uscire ancora nel cortile, ad avvicinarsi e spiare. Del resto la porticina era socchiusa: dentro la cucina le bambine stavano ancora intorno al focolare ed il padre, arrivato tardi ma sempre in tempo, arrostiva allo spiedo la coscia del porchetto donato dai vicini di casa. Ma il regalo comprato da lui, dal padre, dov'era? - Vieni avanti, e va su a vedere - gli disse l'uomo, indovinando il pensiero di lui. Felle entrò, salì la scaletta di legno, e nella cameretta su, vide la madre di Lia assopita nel letto di legno, e Lia inginocchiata davanti ad un canestro. E dentro il canestro, fra pannolini caldi, stava un bambino appena nato, un bel bambino rosso, con due riccioli sulle tempie e gli occhi già aperti. - È il nostro primo fratellino - mormorò Lia. - Mio padre l'ha comprato a mezzanotte precisa, mentre le campane suonavano il "Gloria". Le sue ossa, quindi, non si disgiungeranno mai, ed egli le ritroverà intatte, il giorno del Giudizio Universale. Ecco il dono che Gesù ci ha fatto questa notte.

LA CASETTA SUL LAGO

LA CASETTA SUL LAGO

Era una casetta piccola piccola, che sorgeva sulla riva di un laghetto azzurro.

Ogni mattina, al sorgere del sole, la piccola casa spalancava le sue finestre come due occhi di bambino, e si specchiava nel lago. Era felice di vedere riflesso nell'acqua limpida il suo fumaiolo sbuffante, il suo tetto rosso, i cespugli fioriti che costeggiavano il vialetto ed il rigoglioso melo che le stava accanto;e quando la superficie del lago tremolava al lieve soffio del vento, alla piccola casa sembrava di danzare, e non invidiava affatto le lussuose ville che sorgevano nella zona residenziale, oltre la collina.

Ma arrivò l'inverno, ed il lago si ghiacciò. La piccola casa non poteva più specchiarsi nell'acqua, ed ormai non apriva neppure più le sue finestre. Si sentiva molto sola, e se ne stava appartata e silenziosa, sperando che tornasse presto la Primavera.

La fatina del lago decise di intervenire per regalare alla casetta un giorno di gioia, e, nella notte di Natale, fece sciogliere il ghiaccio che ricopriva la superficie dell'acqua.

La mattina di Natale la piccola casa fu svegliata dal suono festoso delle campane del paese. Timidamente, socchiuse una finestra e - meraviglia!- si vide di nuovo riflessa nell'acqua tremolante del lago. Subito spalancò le imposte, e rimase tutto il giorno a specchiarsi. Il suo tetto, coperto dalla neve, non era più rosso, i cespugli erano sfioriti ed il melo levava verso il cielo i suoi rami brulli, ma la casetta era contenta lo stesso: sapeva che, passato l'inverno, tutto sarebbe tornato bello come prima.

Il giorno dopo, il lago era di nuovo ghiacciato, ma la piccola casa era meno triste: aveva avuto il suo regalo di Natale, ed ora poteva aspettare serenamente che, col ritorno della Primavera, il tepore sciogliesse il ghiaccio ed il lago tornasse ad essere il tranquillo specchio d'acqua in cui riflettersi.
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LA BAMBOLA DI PEZZA

LA BAMBOLA DI PEZZA

Come ogni anno, all'avvicinarsi del Natale, il reparto giocattoli del grande magazzino in cui lavora la signora Luisa è affollato: genitori, nonni e zii sembrano fare a gara nel comprare i giochi più belli da regalare ai bambini per Natale. Anche Luisa vorrebbe acquistare un bel giocattolo per Carlotta, la sua bellissima bambina di sette anni, ma il suo modesto stipendio non le consente di spendere molto: anche quest'anno, dovrà ripiegare sulla solita bambolina! Carlotta, in fondo, non ama molto le bambole sofisticate e le altre diavolerie elettroniche che fanno la gioia di tanti bambini. A lei le vecchie bambole di pezza sono tanto care e le considera amiche affettuose, con le quali trascorrere i lunghi pomeriggi, quando, finiti i compiti, aspetta che la mamma ritorni dal lavoro giocando sotto lo sguardo affettuoso della portiera. Ormai mancano pochi giorni al Natale, e Carlotta scrive, come tutti i bambini, la sua letterina a Gesù Bambino. Vuole chiedergli di lasciarle la sua mamma vicino, perché ha solo lei, da quando il suo papà è andato in cielo. Ma vuole domandare anche un regalo speciale: far guarire la sua bambola preferita, la buffa Genoveffa, compagna di tante ore felici e di tante notti angosciose, quando, dopo la morte del babbo, i brutti sogni non la facevano dormire: solo grazie alla compagnia di Genoveffa, che, secondo la mamma, aveva il potere di scacciare i sogni cattivi, la bambina aveva riacquistato serenità. Ma ora Genoveffa è vecchia e malata: un braccio sta per staccarsi, e dalla stoffa logora l'imbottitura fuoriesce a poco a poco. I tentativi della mamma di ripararla sono serviti a poco; ma Carlotta non si rassegna a rinunciare alla sua amica, non solo perché le vuole bene, ma anche perché teme che, senza Genoveffa, i brutti sogni torneranno. La signora Luisa legge la letterina di Carlotta, e decide che deve fare qualcosa per rasserenare la sua bambina. Ma che cosa? Ha passato in rassegna tutte le bambole del negozio, ma nessuna somiglia a Genoveffa. Ma il cuore di una mamma ha risorse inattese! E' la vigilia di Natale. La Signora Luisa torna a casa portando un pacchetto avvolto in carta rossa e legato con un nastro dorato: è il regalo di Natale per Carlotta. La mattina di Natale, la bambina, appena sveglia, corre a controllare la sua Genoveffa: Gesù Bambino l'avrà guarita? Ma Genoveffa non è nella sua scatola. Carlotta corre dalla mamma, che sta preparando la colazione nella piccola cucina. La signora Luisa accompagna la figlia in soggiorno, dove, sotto il piccolo albero di Natale, fa bella mostra di sé il pacchetto rosso. La piccola apre il pacchetto, e spalanca gli occhi per lo stupore: adagiata nella carta velina, c'é un bambola di pezza del tutto uguale a Genoveffa, ma con il visino nero. Nella scatola c'é anche una letterina. Carlotta apre la busta e, seduta in braccio alla mamma, legge: - Cara Carlotta, ho portato in cielo la tua amica Genoveffa, perché faccia compagnia al tuo papà. In cambio, ti mando la sua sorellina Tatù. Sai, anche lei è una bambola speciale: attira i sogni belli, e li regala a chi le sta vicino. Perciò, tienila sempre con te ed amala come hai amato Genoveffa. Osserva il suo visino scuro: non ti ricorda il viso di Raja, la piccola africana che da alcuni giorni è in classe con te? E se anche lei diventasse tua amica? Ciao, e Buon Natale. Gesù Bambino - . - Mamma, è proprio vero: Tatù somiglia a Raja, anche se è vestita come Genoveffa. Quando torneremo a scuola la inviterò a giocare con me, voglio diventare sua amica. Voglio che anche a lei la mia bambola regali tanti bei sogni. Che dici, Genoveffa sarà contenta di stare vicino al mio papà? - Certamente, bambina mia. E vedrai che Tatù porterà tanta gioia a te ed alla tua compagna Raja, se solo vi vorrete bene, anche se siete diverse: Tatù non è forse la sorellina di Genoveffa? - Hai ragione, mamma, non importa il colore della pelle, è il cuore che conta! E la bimba, felice, va a giocare con la sua bambolina di pezza, mentre la mamma pensa che valeva la pena di fare tanti sforzi per riuscire a vestire come Genoveffa la vecchia bambola negra che da diversi anni giaceva in fondo allo scaffale, ignorata da mamme e bambine, più attratte dalle sofisticate bambole che parlano, camminano e fanno pipì.

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